In occasione del 78° anniversario della Strage di Vergarolla, presentiamo un estratto di un saggio di William Klinger “Strage di Vergarolla. Fonti jugoslave”, storico con doppia cittadinanza croata-italiana, esperto di storia di Fiume e della Jugoslavia, insieme a riflessioni di Annamaria Crasti, vice-presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, comitato di Milano, sulla tragica vicenda del 18 agosto 1946.
In memoria delle 65 vittime dell’esplosione di quel terribile pomeriggio, tra le quali figura Anita Quarantotto, cugina di Annamaria Crasti, di 37 anni. Un pensiero speciale va anche ai 45 corpi che sono stati ridotti in polvere dalla violenta deflagrazione. Non ci sono corpi, non ci sono morti visibili. Una tragedia che si aggiunge a un’altra tragedia, rendendo il dolore ancora più insopportabile.
“In seguito agli accordi di Belgrado del giugno 1945 le truppe titine si ritiravano da Trieste Gorizia e Pola e, a Pola, si andava verso una lenta normalizzazione che, però, tale non era. In città si viveva nel terrore seminato dalle troike jugoslave che attaccavano le organizzazioni filo-italiane e i loro esponenti tanto da indurre il Comitato di liberazione nazionale (CLN) italiano ad istituire gruppi di difesa.
Quasi quotidianamente si udivano esplosioni di munizioni, di residuati bellici, scoppi di armi da fuoco. Pola era una Santa Barbara e la situazione si aggravava sempre di più a causa delle forti intimidazioni da parte di infiltrati che provenivano dalla Zona B, territorio jugoslavo. Per questa situazione i polesani vivevano in un’atmosfera surreale di grande tensione creata dalla “protezione “alleata e dal terrore titino.
Già il 5 dicembre 1945 si era verificata una forte esplosione, seguita da altre, nel deposito di munizioni del molo Carbone che aveva causato il crollo della fabbrica di corde e danni ad alcune case circostanti. C’erano stati molti feriti, tra questi la guardia comunale Roberto Dubs che morirà all’ospedale S. Santorio a causa delle ferite riportate.
L’Arena di Pola, probabilmente per informazioni avute dal Governo Militare Alleato (GMA), scriveva “Si assicura la popolazione che l’eventualità di un’altra esplosione è molto improbabile “. Ma già il 14 gennaio 1946 questa notizia veniva smentita da un’altra esplosione avvenuta alla polveriera di Vallelunga con conseguente scardinamento di infissi e rottura di migliaia di vetri. Le autorità angloamericane con estrema leggerezza avevano parlato di autocombustione. Anche questa volta 40 feriti, tra i quali alcuni soldati inglesi, e il guardiano di 23 anni Ernesto Visentin moriva.
La presenza sul territorio di un enorme quantitativo di munizioni era percepita dalla popolazione come una minaccia, tanto che i polesani, attraverso l’Arena di Pola avevano manifestato la loro preoccupazione. Era stata proposta l’opera di esperti locali per “il regolare scaricamento di detti terribili ordigni”. La risposta data dagli alleati era stata che gli esplosivi erano da ritenere preda bellica jugoslava e che non si potevano toccare! Sempre il 14 gennaio il “Giornale alleato“ avvertiva che al forte San Giorgio si sarebbero fatte brillare mine dal peso di 100/200 kg.
Ancora il 14 gennaio il Consiglio Comunale si riuniva d’urgenza e chiedeva al comando militare alleato di provvedere affinché in città non avvenissero altre esplosioni.
Il fatto stesso che gli alleati avessero attribuito l’esplosione ad autocombustione aveva contribuito a gettare la popolazione nello sconforto perché si comprendeva che c’era in atto una vera strategia della tensione e chi era preposto alla sicurezza della città non faceva nulla per scongiurarla.
Per quanto riguarda il contesto internazionale, l’agosto 1946 era stato determinante. La conferenza di pace si era aperta con gran solennità il 29 luglio; vi partecipavano 1.500 delegati. Di questi ben 170 rappresentavano la Jugoslavia, stato dilaniato dalla guerra civile ma vittorioso militarmente, guidata da Tito che aveva imposto un regime rivoluzionario comunista.
In quel giorno all’Italia veniva consegnata la bozza del trattato che imponeva cessioni territoriali alla Francia e alla Jugoslavia. Oltre alle cessioni territoriali si imponeva la smilitarizzazione dei confini e la consegna della flotta. Erano richieste gravissime che però De Gasperi riteneva comprensibili vista la resa incondizionata del nostro paese.
De Gasperi era intervenuto il 10 agosto. In quel momento lo statista ricopriva le cariche di Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e Ministro dell’Interno. Kardelj era intervenuto immediatamente dopo di lui, negando ogni tesi del nostro rappresentante e sostenendo la continuità dell’allora governo italiano con quello fascista: De Gasperi e il suo governo strumentalizzavano gli antifascisti per sostenere l’imperialismo. Dopo Kardelj era intervenuto Molotov, rappresentante dell’Unione Sovietica che grazie all’Armata Rossa era una potenza vincitrice della Seconda guerra mondiale, e che sosteneva le tesi jugoslave. Il 17 agosto si era conclusa la prima parte della conferenza e in quel giorno Alcide De Gasperi con un comunicato stampa, a dir poco infelice, aveva tentato di dare importanza alla Venezia Giulia e Trieste dove incrostazioni di storia e prestigio trascendevano di gran lunga la sua importanza fisica.
Lo statista, indirettamente, sosteneva le tesi jugoslave che erano le seguenti a Trieste e nella Venezia Giulia la Repubblica italiana non aveva alcun interesse da difendere. In questo modo l’Italia calpestava i diritti della popolazione che, secondo le tesi jugoslave, in grandissima parte non era italiana.
In sostanza il pluri-ministro affermava che per l’Italia la Venezia Giulia e Trieste non avevano alcuna importanza. E domenica 18 agosto avviene la Strage di Vergarolla.
Alla più grave strage compiuta in territorio italiano si attribuisce il rafforzamento anche nei più titubanti della convinzione che l’esodo fosse ormai l’unica garanzia di sopravvivenza, oltre che di libertà e di mantenimento della cittadinanza italiana.
Ma né gli jugoslavi né l’Italia sostenevano l’esodo. I primi temevano lo spopolamento delle industrie e dei porti di Pola e Fiume (com’è avvenuto) e per la seconda, in quel momento, non era un obiettivo da sostenere.
“Con ogni probabilità – sostiene Paolo Radivo ex direttore dell’Arena di Pola – l’attentato non è stato perpetrato tanto per convincere gli italiani ad andarsene (gran parte di loro lo aveva già deciso), quanto per demoralizzarli, per indurli ad arrendersi, a gettare la spugna, a smettere di mobilitarsi per l’Italia “. Come avevano ripetutamente fatto.
Il 30 agosto, durante una seduta del Comitato di liberazione nazionale (CLN) istriano a Trieste, si lamentava il fatto che il governo italiano non avesse mai chiesto il plebiscito. Forse il plebiscito in Istria avrebbe potuto cambiare le sorti dei suoi abitanti, nonostante il debole sostegno del governo italiano. Ma non si era fatto nulla. L’ultimo articolo, sull’Arena di Pola, apparso in caratteri cubitali, è quello del 20 agosto.
POLA È IN LUTTO (Anna Maria Crasti – vice presidente dell’Associazione Nazionale Friuli Venezia Giulia (Anvgd) comitato di Milano)
Da quel giorno i titoli hanno caratteri minori, segno di sconforto e demoralizzazione. Se così non fosse stato, a Pola si sarebbe potuto organizzare una manifestazione patriottica di massa che avrebbe potuto attirare l’attenzione nazionale ed internazionale, visto che in quei giorni a Parigi si decidevano le sorti degli Istriani Fiumani e Dalmati, oltre a quelle di tutto il nostro paese.
Ma nulla è accaduto e se lo scopo di coloro che hanno pensato organizzato attuato la strage era quello, allora lo hanno raggiunto. Pola jugoslava ha definitamente convinto la popolazione ad abbandonarla, come aveva già deciso molto prima della Strage di Vergarolla.
Tratto dal saggio di William Klinger, La strage di Vergarolla: fonti jugoslave. Queste le notizie ottenute da Klinger con le sue ricerche all’Archivio di Stato di Belgrado. Notizie che ci aiutano a capire quale fosse la situazione a Pola, in Istria, a Trieste, ovunque erano arrivate le truppe titine colpevoli di arresti persecuzioni attentati uccisioni. La Strage di Vergarolla, la più grave per il numero dei morti, è sconosciuta al maggior numero degli Italiani.
Quest’anno ricorre il 78° anniversario, commemorato degnamente a Pola. Ma in Italia, ci sarà una televisione o un giornale che ne parlerà? Saranno coloro che hanno avuto un parente o un amico ucciso o ferito a ricordarlo.
Saremo noi esuli a ricordarla sempre, in ogni occasione. Spetta a noi l’impegno di mantenerne viva la memoria anche nel nostro paese. Quei bambini, piccolissimi, anche di un anno, quei ragazzi mai diventati adulti, quei giovani che non hanno vissuto una vita piena, quegli uomini e donne, e quegli anziani strappati ai loro cari, come Carlo e Renzo, figli del medico Geppino Micheletti, che nonostante la perdita dei suoi figli si adoperò a curare i feriti nell’ospedale di Pola, devono essere ricordati affinché il loro sacrificio non sia stato vano.
Concludo con le parole di uno sconosciuto le cui iniziali sono D.C. apparse sull’Arena di Pola del 23 agosto 1946, pag.2: “Voi cadeste vittime postume dell’insensata guerra scatenata dall’ambizione di alcuni criminali degenerati che volevano erigersi un soglio sulle sofferenze altrui; ma cadeste pure vittime dell’incuria di chi avrebbe dovuto sentire il dovere di salvaguardare l’incolumità dei cittadini di questa fin troppo martoriata città. Il destino vi è stato spietato… Una terribile sorte vi ha ghermito ed ora mentre il vostro corpo mutilato documenta la diabolica potenza dei mezzi di distruzione che gli uomini hanno saputo creare per il loro vicendevole sterminio, il vostro spirito accusa dinanzi all’Altissimo quelli che non hanno saputo impedire che l’orribile fatto avvenisse. Possa la sventura che vi ha colpito ottenerci almeno la grazia di poter restare fra queste mura e sia finalmente placata quell’inesorabile avversa fortuna che tanto grava sulla nostra città! La vostra fiorente vita sia l’olocausto che redime Pola dal fosco avvenire che le sembra riservato. Iddio non lo voglia! Addio concittadini!” Ma il fosco avvenire purtroppo si è avverato.